A distanza di ben cinque anni dall’ultimo full-length, torna sul campo di battaglia il “vichingo mediterraneo”, il nostro conterraneo Drakhen, il quale anche in questa occasione appare in grado di ammaliare chi si voglia avvicinare alla sua proposta con un sano e puro viking di vecchia scuola, sia per quanto riguarda il comparto musicale, che quello lirico. Prima di entrare nello specifico di questo Thor, è doveroso riportare brevemente alla memoria la storia di questo progetto solista.
I Bloodshed Walhalla nascono esattamente il 1 novembre 2006 e, nonostante non poche peripezie e demo non al meglio riuscite a causa di problemi con le registrazioni, il nostro Drakhen non si perde d’animo e prosegue coraggiosamente in tutti i suoi intenti: creare una musica molto vicina ai celebri Bathory, quasi per farne un omaggio. La svolta arriva nell’agosto 2010 quando vede la luce il suo primo album, Legends of a Viking, licenziato dalla tricolore Fog Foundation, la cui produzione è sicuramente migliore rispetto a quella delle demo precedenti, così come la musica in eso contenuta appare più epica e ben costruita. Tali aspetti vengono ulteriormente migliorati con il successivo The Battle Will Never End, che migliora quanto offerto dal progetto sotto tutti gli aspetti, dimostrando anche diverse grandi idee che il nostro vichingo aveva fino a quel momento tenuto in serbo, pur non mancando comunque di fare rimandi a materiali già sentiti. Ed ecco dunque, dopo un’altra demo ed un EP, che Drakhenpartorisce un’altra opera, intitolata Thor. A scanso di equivoci, va detto che quanto presentato non si distacca molto dai lavori precedenti, ma sicuramente rappresenta un capitolo importante della carriera del musicista materano, in quanto egli riesce a forgiare un disco con molti più cori ed epicità, che si alternano ad un clean trascinante (lo scream lo troviamo ormai sporadicamente), il tutto servito in un’atmosfera in pieno stile bathoryano, molto più magniloquente che in passato. Non troveremo infatti esagerati virtuosismi alle sei corde e ancor meno una batteria capace di rimanere impressa, ma chi chiede queste cose se durante tutto l’ascolto si è investiti da sole emozioni? Drakhen infatti riesce a colpire presentando gli ingredienti del viking di vecchia scuola, senza preoccuparsi di apparire ridondante o tanto meno privo di idee, andando a ricreare tutta quella atmosfera che solo il viking puro e genuino è in grado di regalarci. Una cosa è certa: se siete in cerca di sperimentazioni o quant’altro, è giunto il tempo di cambiare recensione, visto che quanto proposto in questa sede include solo tradizione ed omaggi al passato.
I brani presentati -comprese intro ed outro, novità rispetto al passato- sono otto, per un lungo ascolto di ben settanta minuti -record per la formazione- che alle orecchie poco allenate, o abituate ad altri generi, potrebbero risultare pesanti e noiosi, sensazione che invece non ha affatto un ascoltatore da sempre avvezzo alle sonorità del viking. Ecco quindi come, dopo la delicata opener Farewell, la quale ci incita a metterci comodi per questo viaggio nel passato, veniamo avvolti dal lieve riff che apre le danze alla title-track, la quale si rivela molto trascinante grazie a cori e ad un assolo niente male. Lo scream non è per nulla esagerato ma, come vedremo in seguito, il clean riesce molto meglio a Drakhen, anche perché riesce a dare quel necessario tocco di solennità all’opera. Segue la lunga suite Day by Day, la quale si prende il titolo di canzone più lunga mai scritta dal frrontman, superando addiritturai diciassette minuti, ma senza mia apparire noiosa o stancante da ascoltare, grazie nuovamente al trascinante clean, il quale strizza l’occhio a quello dell’ultimo Quorthon, affiancato a riff evocativi comandati da una corposa ma mai esagerata batteria. A dirla tutta, forse una traccia di questa portata, messa ad inizio album, potrebbe apparire una scelta un po’ infelice, ma credo sia solo una questione di abitudine, in quanto spesso e volentieri ci si aspetta le canzoni molto lunghe in chiusura di platter. Proseguendo lungo il nostro percorso fra battaglie, drakkar e mitologia norrena, ci imbattiamo in brani più “poliedrici” come And Then the Dark o l’evocativa Tyr -altro brano da oltre dieci minuti- nella quale troviamo una profonda voce narrante e dei cori davvero ben riusciti, così come il lato solista delle sei corde. Seguono la più folkeggiante Nine Words e la decisamente più statica Northwinds, che appare lievemente faticosa da mandare giù più per la sua posizione all’interno della tracklist, dopo diversi pezzi movimentati, che per una sua pesantezza vera e propria. I rumori del mare seguiti dalla solenne tastiera in Return chiudono questa opera in modo maestoso e malinconico, come appare spesso la fine di un lungo viaggio.
Concludiamo quindi dicendo che Drakhen con i suoi Bloodshed Walhalla si rivela sempre di più una grande realtà italiana di cui dobbiamo esserne più che fieri ed orgogliosi. Che dire quindi? Abbiamo i vichinghi e tanta atmosfera. Cosa chiediamo di più…?
…una bella birra fresca magari!
Fonte: Metallized.it